Barolo e il terroir

Se con “terroir” indichiamo una serie di condizioni pedo-geologiche e microclimatiche in grado di differenziare parcelle di vigne, le due zone vitivinicole a livello mondiale in cui il terroir così inteso riesce ad essere completamente valorizzato sono la Borgogna e le Langhe. Spesso, dunque, si cerca di trovare una correlazione tra i Grand Crus della Cote de Nuits e le menzioni geografiche più importanti del Barolo. Tuttavia, aldilà delle differenze ampelografiche tra Nebbiolo e Pinot Nero, Barolo e Borgogna hanno tradizioni vitivinicole specifiche e prova ne sia il loro diverso approccio ad una classificazione riconosciuta dei vigneti e al loro utilizzo come appellazione ufficiale e non quale sotto-zona.

In altre parole, se in Borgogna si vende “Clos de La Roche Appellation Grand Cru Controlée” – dando per acclarato non soltanto la presenza di 100% di Pinot Nero e l’esistenza di una classificazione dei crus, ma anche la localizzazione geografica del vigneto all’interno della Cote de Nuits e di Morey Saint-Denis -, nelle Langhe l’appellazione ammissibile è “Barolo Denominazione di Origine Controllata e Garantita Brunate”, ove la menzione Brunate è sottoposta rispetto alla denominazione garantita Barolo (che indica zona e modalità di produzione). In generale, dunque, pur facendo fatica per i motivi sopra esposti ad accostare tradizioni, consuetudini e nobiltà vitivinicole piuttosto distanti, ritengo che i due distretti abbiano entrambi alla loro base il concetto di parcellizzazione e l’identificazione dei vigneti avvenuto per consuetudine da parte dei contadini e dei viticoltori. Si tratta dunque di capire quanto la distinzione di specifiche aree vitivinicole sia frutto di reali differenze geologiche e climatiche o piuttosto di consuetudini cristallizzate e se il sistema borgognone rappresenta la naturale conclusione del processo evolutivo della denominazione Barolo.

La dottrina tradizionale riguardo all’argomento (Vignolo Lutati, 1929) prevede una netta distinzione tra parte orientale e occidentale della zona del Barolo, in prossimità del cambio di era geologica di emersione del terreno dal mare. A tal proposito:

Fernando Vignolo Lutati nel 1929 aveva distinto l’Area del Barolo in tre formazioni geologiche del Miocene, originatesi in epoche diverse. La più antica dell’Elveziano, posta nell’area sud orientale, corrispondente ai territori di Serralunga, Monforte, Castiglione Falletto e in parte di Barolo, è caratterizzata da marne bianco-giallastre sino all’altro versante di Barolo, La Morra e Verduno, di epoca Tortoniana con le sue marne grigio bluastre. Infine il settore più nord-occidentale di La Morra e Verduno con i terreni più recenti dell’era del Messiniano. Tutti questi suoli sono emersi fra i 15 e i 5 milioni di anni fa dal Mare Padano, grazie al graduale ritiro delle acque, modellati dai successivi eventi climatici e sismici.
Il Maestro di Vino, a cura di C. Cipolla, Franco Angeli, 2013

Uno degli studi più interessanti degli ultimi anni (“La zonazione del Barolo”, Soster e Cellino, Regione Piemonte, 2002) ha avuto il merito di suddividere e ridisegnare la zona del Barolo sulla base di specifiche caratteristiche geologiche e individuando quattro tipologie di suolo: formazione di Lequio, arenarie di Diano, marne di Sant’Agata fossili, formazione gessoso-solfifera del Messiniano.
Come perfettamente descritto da G. Brozzoni:

Tra la fine del Langhiano e l’inizio del Serravalliano “Elveziano” iniziano ad emergere i suoli di Serralunga d’Alba, caratterizzati da Formazioni di Lequio con strati di marne grigie alternate ad arenarie formate da sabbie silicee più o meno cementate; la presenza di carbonato di calcio e ferro conferisce ai terreni tonalità di colore grigio-rossastro: più ad ovest, in pieno periodo Serravalliano emergono i territori di Monforte d’Alba e Castiglione Falletto; il suolo ha già una composizione differente e alterna strati di sabbia più o meno compatta, di colore grigio-bruno o giallastro, con arenarie grigie (sabbie compattate cementate da carbonati delle acque marine) dette Arenarie di Diano […]. ‘area compresa fra Barolo e La Morra è costituita da marne grigio-bluastre, ricche di carbonati di magnesio e manganese, che in superficie diventano di tonalità grigio-biancastra in seguito all’azione degli agenti atmosferici; si tratta di argille miste a sabbia finissime, impregnate di una forte componente calcarea, che prendono il nome id Marne di Sant’Agata.
G. Brozzoni, 100 Barolo, Gowine, 2004

La dottrina classica prevede che le differenze geologiche sopra esposte si traducano in una generale distinzione sensoriale del vino prodotto:

Dove le sabbie prevalgono sulla marna di Sant’Agata, si avranno vini più eleganti con profumi più delicati, in cui il tannino e la potenza saranno contenuti. Nell’area dove prevalgono le formazioni di Lequio, si avranno Baroli più decisi e corposi con tannini molto evidenti e con maggiore potenziale evolutivo. Sulle arenarie di Diano generalmente si ha un risultato intermedio…
Il Maestro di Vino, a cura di C. Cipolla, Franco Angeli, 2013

D’altro canto, lo studio della Regione Piemonte sopracitato, dopo un’approfondita analisi geologica, climatica, agronomico-produttiva e sensoriale giunge ad una conclusione piuttosto interessante:

[Le specifiche zone] appaiono più una suddivisione storico- tradizionale che una suddivisione produttiva. L’area relativamente ristretta, l’ambiente climatico poco differenziato, i caratteri pedologici dalle differenze poco pronunciate, l’unicità del vitigno e soprattutto una vinificazione condotta in modo rigorosamente confrontabile, consentono di individuare al massimo due o tre “famiglie” o gruppi di uve e vini. […] Esiste quindi un effetto “suolo” su uve e vini, ma esso viene attenuato dagli altri fattori in gioco al punto tale da non risultare significativo in una elaborazione complessiva che cerchi di percepire la variabilità dell’areale sulla
base della risposta discriminante di mosti e vini.
Si è giunti ad ipotizzare che le variabili ambientali (terreno, clima) e biologiche (pianta) abbiano un ruolo limitato rispetto alle variabili più strettamente legate alle scelte dell’uomo (gestione vigneto, vinificazione) nello spiegare la variabilità del vino Barolo

La zonazione del Barolo, Soster e Cellino, Regione Piemonte, 2002

Per quanto effettuata con strumenti superati e a mio parere distorta da una classificazione del suolo a maglie piuttosto larghe, l’analisi condotta dalla Regione Piemonte mette in risalto un aspetto fondamentale: il vignaiolo, ovvero l’essere umano e pensante che con le sue scelte, in campagna e cantina, può sovrastare le caratteristiche geo-climatiche del vigneto. Pertanto, fintanto che le modalità agronomiche e produttive non saranno le stesse o quanto meno comparabili, trovo difficile (quando forse inutile) andare alla ricerca di una correlazione perfetta e inattaccabile tra “collina” e “vino”.
Troppe, infatti, sono le variabili in gioco: fuori dalla cantina il vino è chiaramente correlato alla gestione del suolo, allo scasso del terreno, alla scelta di portainnesto e del clone, alla densità dell’impianto, ai trattamenti fito-sanitari…, mentre, una volta effettuata la vendemmia, la bravura (tecnica e “etica”) del vignaiolo è fattore decisivo. Ognuno di questi aspetti può portare a una distorsione di quel risultato che andiamo a ricercare o di quella che tesi che vogliamo convalidare.

Per questi motivi, tendo a dare credito, da un lato, all’analisi di Vignolo Lutati del 1929, periodo storico in cui difficilmente le innovazioni tecnologiche in vigna e cantina avrebbero potuto portare a una radicale modificazione del rapporto vigneto-uva-vino e, dall’altro, all’uso e alle consuetudini dei contadini e dei vignaioli, che di generazione in generazione hanno sentito la necessità di identificare e delimitare le specifiche parcelle di vigneto. Senza dubbio, a parità di vinificazione e coltivazione, il Barolo di La Morra è diverso da quello di Serralunga e, all’interno dello stesso comune, il Barolo delle Rocche dell’Annunziata cambia rispetto a Brunate. Perché è così? Perché ne è convinta mia nonna, che lo ha imparato dal proprio bisnonno, e così via… Per il resto, penso sia complicato (e capzioso) provare ad individuare tutte le motivazioni fisico-chimiche che conducono a tale risultato: le risposte fanno in qualche modo parte di quella magia che racchiude in se stessa la parola “terroir”.

 
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