
Ci sarà un motivo per cui tutti i produttori farebbero follie per avere anche solo un pezzetto in quel delle Rocche dell’Annunziata?
Certamente sì, anzi più di uno. Si potrebbe iniziare col ricordare nella classificazione di Renato Ratti questo cru era considerato tra queli di prima categoria, una zona cioè vitivinicolamente di alto prestigio; che le uve qui sono sempre costate molto, un ottimo parametro di riferimento per la qualità nelle Langhe; che il vino che ne deriva racchiude in modo paradigmatico l’eleganza suadente di La Morra. Il vigneto si sviluppa per circa 30 ettari, in una valletta che comprende anche la Borgata Torriglione. Al suo interno ci sono vigne che portano nomi di vecchi o nuovi proprietari, una zona chiamata Rocchette e una piccola porzione denominata Cuore, ma sono specificazioni di un’area indicata complessivamente come Le Rocche, attraversata nel mezzo dalla strada vicinale che dalla Borgata Pozzo va al Torriglione. Per l’esposizione della vigna si devono considerare due fronti distinti: quello rivolto a sud-est che scende a valle dalla strada del Boiolo e dei Costamagna, e quello esposto a sud, sud-ovest, nella zona di fronte alla Borgata Torriglione, zona questa particolarmente riparata.
Tra i produttori di Rocche dell’Annunziata c’è Enrico Scavino, che con circa mezzo ettaro di proprietà produce da 2500 a 2800 bottiglie. “Abbiamo comprato la vigna nel ’90 e siamo entrati subito in produzione” dice Enrico. “Nonostante il vigneto fosse mal lavorato, con molte piante storte che non permettevano nemmeno alle macchine agricole di poter passare, ho preferito mantenere quelle piante perché di oltre quarant’anni e di ottima forma. Così per 4-5 anni abbiamo potato e tagliato le storture, portando i germogli ad essere diritti e il vigneto in ordine. Certo ripiantare da capo sarebbe stato più semplice ma rinunciare a un tale patrimonio, alla qualità dell’uva, dolce e persistente, che solo una pianta matura può dare, mi sembrava un peccato. “ La vigna degli Scavino è esposta completamente a Sud; i grappoli sono piccoli, di grande concentrazione, dal tannino dolce. Nel ’90 si è prodotta la riserva, nel ’93 e nel ’95 Barolo d’annata, mentre dal ’96 è invalsa la scelta di produrre solo, nelle annate in cui vale la pena, la Riserva, che fino ad oggi salterà solo la 2002, venduto all’ingrosso perché non di qualità.
Anche l’azienda Renato Ratti produce, fin dal ’71, un Barolo dalle Rocche dell’Annunziata, per decisione di Renato, che tanto ha fatto per la valorizzazione del concetto di cru, dando così dimostrazione pratica alla teoria. Inizialmente il nome del vino era Marcenasco, perché questo era il nome storico, risalente al 1200 circa, dell’abbazia e della zona intorno all’Annunziata. “Io penso – dice Pietro Ratti, figlio di Renato – che due siano gli aspetti che caratterizzano particolarmente le Rocche dell’Annunziata: da una parte il terroir e cioè quel complesso terreno-microclima specifico di una zona, che nelle Rocche vede la presenza di suoli derivanti da un substrato costituito, sotto il profilo litologico, da arenarie e conglomerati alternanti con marne: i suoli sabbiosi del costone che scende verso l’Annunziata, che derivano dalle arenarie, sono responsabili dei profumi che segnano in modo inconfondibile questi vini; dall’altra il fatto che il cru è molto grande e allo stesso tempo molto parcellizzato, e questo è a mio avviso dovuto alla sua vicinanza al centro abitato. Ciò ha storicamente permesso al contadino di poter seguire anche una piccola porzione di terreno, senza perdere tempo per raggiungerlo. Non è infatti un caso che i cru più lontani dai centri abitati presentino anche cascine in luogo”. Il Barolo delle Rocche dell’Annunziata, dove Annunziata serve per distinguerlo dalle altre Rocche, quelle di Castiglione, si riconosce soprattutto per i profumi, eleganti, floreali, di rosa soprattutto, come ricorda un episodio che racconta Pietro Ratti di Bartolo Mascarello, quando da piccolo ogni volta che incontrava un venditore d’uva delle Rocche, questo gli diceva: “Voi a Barolo avete la nomina (nomea), ma noi alle Rocche abbiamo i profumi.” Tradizione insegna.
Grand Cru d’Italia, Vigneti e Vini, Vol. 1, 2005, Gambero Rosso editore